US Supreme Court – Dobbs vs Jackson Women’s health organization

Con l’articolata e contestata sentenza “Dobbs vs Jackson Women’s Health Organization” la Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito che la Costituzione americana non riconosce espressamente il diritto all’aborto ed i princìpi di segno contrario affermati nel 1973 con la storica pronuncia “Roe vs Wade”, poi consolidati nel 1992 con il caso “Planned Parenthood of Southeastern Pa. Vs. Casey”, vanno disattesi poiché basati su decisioni “manifestamente errate”.
La pronuncia, espressione di una maggioranza conservatrice, ha suscitato una forte reazione critica nei commentatori e rappresenta un vero e proprio punto di svolta non solo per le immediate implicazioni che essa avrà sul dibattito politico e sociale in tema di aborto e di altri diritti la cui tutela è stata riconosciuta nel tempo ma, soprattutto, per aver stravolto uno dei cardini dell’ordinamento giuridico americano, ovvero il principio dello stare decisis.

I fatti

Lo Stato del Mississippi si è rivolto alla Corte Suprema affinché si pronunciasse in ordine alla costituzionalità della legge “Mississippi Gestational Age Act” che vieta l’aborto dopo le 15 settimane, ad eccezione dei casi di urgenze mediche o gravi abnormità del feto [1].

La Jackson Women’s Health Organization, una clinica per aborti, ne aveva sostenuto l’incostituzionalità in base ai princìpi sostenuti dalla Corte Suprema nei precedenti “Roe vs Wade” (di seguito semplicemente “Roe”) e “Planet Parenthood of Southeastern Pa. vs Casey” (di seguito “Casey”) e sia la Corte Distrettuale che la Corte d’Appello del Fifth Circuit si erano pronunciate in suo favore.

Tuttavia, con sentenza del 24 giugno 2022 assunta a maggioranza di 6 giudici su 9 e resa dall’opinion del Justice Alito, la Corte Suprema ha affermato che la Costituzione americana non riconosce un diritto all’aborto ed i princìpi affermati nelle sentenze Roe e Casey devono essere disattesi.

I precedenti: “Roe vs Wade[2] e “Planned Parenthood of Sotheastern Pa. vs Casey[3]

Una donna single incinta (Roe) ha intentato una class action contestando la costituzionalità delle leggi sull’aborto del Texas, che vietavano di procurare o indurre un aborto se non su consiglio medico ed al solo scopo di salvare la vita della madre.

Nel 1973 la Corte Suprema ha stabilito che le leggi statali penali sull’aborto, che escludono il reato solo in casi di procedura salvavita per la madre senza alcun riguardo per la fase della sua gravidanza e per altri interessi coinvolti, violano la clausola del giusto processo (“due process clause”) prevista dal XIV emendamento [4], che protegge dall’interferenza statale il diritto alla privacy [5], incluso il diritto qualificato di una donna di interrompere la gravidanza. Poiché lo Stato ha un interesse legittimo a proteggere sia la salute della donna incinta che le potenzialità della vita umana, la Corte ha individuato delle fasi della gravidanza in base alle quali operare una valutazione bilanciata di entrambi gli interessi. Secondo i Giudici, nel primo trimestre gli Stati non possono in alcun modo limitare l’aborto; nel secondo trimestre di gravidanza possono prevedere delle restrizioni solo se ragionevolmente correlate alla salute materna; nel terzo trimestre possono regolamentare o vietare del tutto l’aborto tranne che nei casi di pericolo per la vita o la salute della madre.

Questi principi sono stati ripresi e ribaditi nella sentenza “Planned Parenthood of Southeastern Pa. vs. Casey” nel 1992, laddove la Corte, richiesta di esaminare alcune previsioni del Pennsylvania Abortion Control Act (che imponevano, tra le altre cose, l’obbligo del consenso di un genitore per il minore che voleva abortire e l’obbligo per la donna sposata di “notificare” la sua scelta al marito) ha confermato i princìpi della sentenza Roe sulla base della dottrina dello stare decisis. Tuttavia la pronuncia ha eliminato il rigido schema dei trimestri, individuando piuttosto il criterio del c.d. eccessivo sacrificio (“undue burden”) che sussiste – con conseguente invalidità di una legge – se lo scopo o gli effetti di quest’ultima pongono degli ostacoli sostanziali al diritto della donna di praticare l’aborto prima che il feto sia considerato vitale.

La decisione della Corte

Con un percorso argomentativo articolato ed ai tratti contraddittorio, l’odierna Corte Suprema ha negato in maniera netta qualsiasi ospizio costituzionale al diritto all’aborto, relegandolo a questione “morale”, seppur profonda e divisiva, di cui unico decisore e regista dovrà essere il popolo americano ed i suoi rappresentanti eletti. Ed è proprio su queste basi [6] che l’opinion del Justice Alito introduce il lungo ragionamento – fattuale più che giuridico – che condurrà al superamento del principio dello stare decisis ed al conseguente ribaltamento dei precedenti Roe e Casey.

1. In prima istanza, la Corte verifica se esiste un diritto all’aborto nella Costituzione, riesaminando i principi affermati nei precedenti ed accertando, anzitutto, se il riferimento alle “libertà” contenuto nel XIV emendamento possa proteggere un particolare diritto. Ebbene, secondi i Giudici Supremi, i precedenti Roe e Casey non avrebbero offerto idonee argomentazioni a supporto.

Roe ha affermato che il diritto all’aborto è parte del diritto alla privacy – anch’esso non esplicitamente menzionato – che discende dagli emendamenti I, IV, V, IX e XIV. La Corte del 1973 ha analizzato 3 diverse ipotesi in cui la combinazione di queste norme portava in ogni caso al riconoscimento del diritto all’aborto: in base alla prima ipotesi, esso era fondato sulla riserva ai diritti delle altre persone contenuta nel IX emendamento; per la seconda, trovava appoggio nel I, IV o V em. o su una combinazione di questi ed era incorporato nella due process clause del XIV em. come molti altri diritti che vi sono stati inclusi; in terza ipotesi, il diritto è protetto semplicemente dai principi promananti dal XIV em.. Secondo l’odierna Corte però, la pronuncia Casey non ha difeso né rinsaldato questi ragionamenti, limitandosi semplicemente ad affermare che il diritto all’aborto rientra nel più ampio concetto di “due process” ed è parte delle libertà protette dal XIV em..

2. Il secondo passaggio della Corte – che rappresenta uno dei punti più controversi ed aspramente criticati dai 3 giudici [7] contrari nella dissenting opinion – prevede la verifica circa il fatto che il diritto in esame sia radicato nella storia e nelle tradizioni dell’America e se possa ritenersi componente essenziale delle c.d. “ordered liberty”. Sul punto, la Corte giunge ad una soluzione negativa, sulla base del contesto storico e giuridico esistente al momento dell’introduzione del XIV em., ovvero nel 1868. Ed infatti, la due process clause proteggerebbe due categorie di diritti (quelli riconosciuti dai primi 8 emendamenti e quelli ritenuti fondamentali che però non sono menzionati in alcuna parte della Costituzione) e, per decidere se un diritto appartiene ad una di queste categorie, è necessario verificare se è radicato profondamente nella storia e tradizioni americane e se è essenziale nello schema delle ordered liberty della nazione.

Secondo i Giudici, l’indagine storica (sebbene solo retrospettiva e non attualizzata, per quanto si dirà infra) sarebbe essenziale quando la Corte viene richiesta di riconoscere una nuova componente della libertà protetta dalla due process clause e, nello stabilire cosa significhi libertà, si deve rifuggire dalla naturale tendenza umana a confondere il reale contenuto del XIV em. con la visione personale che si ha della stessa. Per questo motivo, in genere, c’è riluttanza a riconoscere diritti che non siano menzionati nella Costituzione.

Guardando alle componenti essenziali della storia e della tradizione americana la Corte ritiene che il XIV em. “chiaramente” non contempli il diritto all’aborto e per sostenere il suo ragionamento, analizza il contesto esistente al momento della sua introduzione nel 1868. Si effettua un excursus storico sulla legislazione esistente fino a quel momento in tema di aborto, da sempre riconosciuto come reato dalla maggior parte degli Stati. Si richiamano poi antiche teorie di common law (con citazione di saggi del XIII e XVII secolo, dei manuali di giustizia per le colonie del XVIII secolo, o di teorie come quella del “quickening”, secondo cui il feto sarebbe considerato vitale dopo il primo movimento percepito nell’utero) e in base alle quali l’aborto non è mai stato considerato un diritto in nessuna fase della gravidanza ma, piuttosto, un crimine.

Dunque, secondo la Corte, fino all’introduzione nel 1868 del XIV emendamento, tre quarti degli Stati americani (28 su 37 all’epoca) riconoscevano l’aborto come crimine e questa opinione è durata fino alla sentenza Roe la quale avrebbe “ignorato o falsato questa tradizione storica”, mentre Casey avrebbe “evitato di riconsiderare l’errata analisi storica di Roe”. I resistenti non sarebbero stati capaci di offrire argomentazioni valide per smentire questa tesi e tutti gli autorevoli autori di common law che, da sempre, hanno riconosciuto l’aborto come crimine, anche grave.

Questo ragionamento è stato oggetto di dure critiche da parte dei 3 giudici contrari i quali, nella dissenting opinion, dimostrano la fallacia della tesi con molte argomentazioni solide tra cui su tutte una, semplice quanto incontrovertibile: il postulato della maggioranza secondo il quale nel 21° secolo si dovrebbe guardare al XIV em. nell’ottica di coloro che lo introdussero non considera che questi ultimi erano esclusivamente uomini: “We referred there to the “people” who ratified the Fourteenth Amendment: What rights did those “people” have in their heads at the time? But, of course, “people” did not ratify the Fourteenth Amendment. Men did. So it is perhaps not so surprising that the ratifiers were not perfectly attuned to the importance of reproductive rights for women’s liberty, or for their capacity to participate as equal members of our Nation”. Pertanto, una interpretazione fondata su un contesto storico e giudico che non riconosceva la donna come membro qualificato della comunità o titolare di diritti e libertà autonome rispetto alla figura del marito, non può essere considerata validamente, soprattutto se si intende sovvertire al principio cardine dello stare decisis ribaltando dei precedenti così importanti [8].

3. Da ultimo, la Corte considera se il diritto all’aborto possa rientrare in un più ampio e consolidato diritto supportato da altri precedenti, concludendo in senso negativo. Giustificare il diritto all’aborto appellandosi ad un più ampio diritto all’autonomia (Casey fa riferimento a precedenti che affermano il diritto a sposare una persona di razza diversa, a sposarsi in carcere, ad ottenere i contraccettivi, a decidere sull’educazione del proprio figlio, a non subire una sterilizzazione non voluta o altri trattamenti chirurgici senza consenso) secondo i 6 giudici di maggioranza “prova troppo”. Questi criteri, infatti, potrebbero condurre a ritenere come diritti fondamentali anche l’uso di sostanze illecite, la prostituzione o simili. Inoltre, nessuno dei precedenti richiamati citate pone o menziona la “questione morale” posta dall’aborto e, pertanto, queste sentenze non supportano il diritto costituzionale all’aborto.

4. La Corte passa poi all’analisi della dissenting opinion, la quale – al pari di Roe e Casey – non sarebbe stata in grado di offrire argomenti validi in ordine al riconoscimento costituzionale dell’aborto o per dimostrare che sia radicato nella storia e tradizione americana. La critica in ordine al fatto che si sarebbe fatto riferimento solo al concetto di aborto ed alla legislazione del XIX secolo sarebbe errata poiché vengono richiamati molteplici esempi di dottrina e giurisprudenza relativi a periodi ben antecedenti (sic!) e, ancora oggi, gli Stati chiedono di ribaltare Roe e Casey. Non sarebbe fondato neppure il timore, prospettato dai giudici contrari, che il ribaltamento di Roe metterebbe in pericolo altri diritti (affermati da precedenti citati, come il diritto relativo alla contraccezione, alle condotte sessuali libere o al matrimonio con persone dello stesso sesso) perché l’esercizio di questi ultimi non comporta la distruzione di ciò che viene chiamato “potential life”.
Inoltre, nella dissenting opinion si dà conto di questioni importanti come gli effetti della gravidanza sulla donna, gli oneri della maternità e le maggiori difficoltà per le donne povere, tuttavia non verrebbe dato analogo rilievo all’interesse dello Stato a proteggere la vita prenatale. Niente nella Costituzione o nella tradizione legale americana autorizzerebbe la Corte ad adottare la “teoria della vita” citata dai giudici contrari, secondo la quale si vorrebbe imporre alle persone una particolare visione sul momento di inizio dei diritti di una persona.
Da ultimo, risulta privo di pregio il rilievo dei giudici contrari secondo il quale in base allo stare decisis un precedente, anche se sbagliato, può essere ribaltato solo se risponde ai cambiamenti legislativi o a mutamenti di fatti ed attitudini nella società. La Corte ritiene di non aderire a questa “strana visione” e se un precedente è sbagliato va ribaltato, indipendentemente dallo stare decisis.

Quest’ultimo punto viene evidenziato con forza dal Justice Thomas nella sua concurrent opinion, laddove cita tre importanti precedenti inerenti ad altrettanti importanti diritti (Griswold vs. Connecticut del 1965 che afferma il diritto alla contraccezione per le coppie sposate; Lawrence vs. Texas del 2003 che legalizza le attività sessuali tra persone dello stesso sesso; Obergefell vs. Hodges del 2015 che stabilisce il diritto al matrimonio per coppie omosessuali) ai quali, nella sua opinione, dovrebbe essere applicato lo stesso procedimento di verifica storica (“Because any substantive due process decision is “demonstrably erroneous,” […], we have a duty to “correct the error” established in those precedents[9]), con il rischio più che concreto che il ragionamento odierno venga utilizzato “again and again[10].

5. Nell’ultima parte della pronuncia la Corte si impegna in un articolato ragionamento a sostegno della necessità di ribaltare i precedenti Roe e Casey, nonostante la teoria dello stare decisis. Quest’ultima, infatti, sebbene rivesta un ruolo importante nell’ordinamento e contribuisca all’integrità del processo giurisdizionale, non è un comando inesorabile e, anzi, sarebbe più debole quando si interpreta la Costituzione. A sostegno di ciò, la Corte ha individuato cinque fattori che devono considerati quando un precedente deve essere ribaltato, tutti ravvisabili nel caso in esame:

I. La natura dell’errore della Corte – Secondo i giudici Roe è sbagliata ed in collisione con la legge costituzionale fin dal giorno in cui è stata emessa. Sul punto si effettua un paragone diretto con la sentenza Plessy vs. Ferguson del 1896, che legittimava la segregazione razziale e che, poiché errata, è stata ribaltata nonostante lo stare decisis. Anche Casey perpetuerebbe l’errore poiché per risolvere il dibattito sulla controversia dell’aborto richiamerebbe le tesi dei sostenitori di entrambe le parti, dichiarandone una vincitrice. Così facendo, la parte perdente, ovvero coloro i quali hanno cercato di proteggere l’interesse dello stato nella vita del feto, non potrebbero più cercare di convincere i loro rappresentanti eletti ad adottare politiche corrispondenti alle loro visioni. La Corte dell’epoca, pertanto, avrebbe cortocircuitato il processo democratico escludendo il gran numero di americani che non concordano con Roe.

II. La qualità del ragionamento – Secondo i Giudici, nonostante l’assenza di fondamento nel testo della costituzione, nella storia o nei precedenti, Roe avrebbe imposto a tutto il paese un dettagliato set di regole sulla gravidanza basato sulla divisione in trimestri, con uno schema molto più simile a quello che si sarebbe potuto trovare in una legge. Tuttavia non avrebbe spiegato perché lo Stato non dovrebbe avere interesse a regolare l’aborto nel primo trimestre per proteggere la salute della donna. L’errore fondamentale di questo ragionamento sarebbe costituito dalla distinzione tra aborti pre o post vitalità del feto, errata poiché non terrebbe conto del mutamento nel tempo del concetto di sopravvivenza, anche per via dei progressi della medicina e della disponibilità di un sistema sanitario di qualità (la Corte pone l’esempio di un feto di 24 settimane che, se dato alla luce in un posto dove esistono ospedali capaci di offrire cure avanzate in caso di nascite molto premature, sicuramente quel feto avrebbe una potenzialità vitale). Quando Casey ha rivisto Roe dopo 20 anni ne avrebbe riaffermato i punti centrali ma non ne avrebbe condiviso i ragionamenti. L’abbandono dello schema dei trimestri ed il riferimento ad una oscura verifica sull’onere eccessivo avrebbe solo imposto un nuovo ragionamento privo di fondamenta nei testi costituzionali, nella storia o nei precedenti.

III. Workability – per decidere se un precedente è ribaltabile è necessario verificare se le regole che impone possono essere comprese ed applicate in modo coerente e prevedibile. Il criterio del “undue burden” posto da Casey avrebbe trovato scarsa applicazione nelle corti tanto che gli sarebbero state affiancate delle regole suppletive, anch’esse problematiche (la Corte sul punto pone in dubbio il significato da attribuire ai concetti di ostacolo sostanziale, sacrificio eccessivo o di leggi sulla salute non necessarie). L’esperienza delle corti di merito avrebbe dimostrato come la linea di demarcazione tra le restrizioni permesse e quelle incostituzionali sia impossibile da tracciare con precisione.

IV. Effetti sulle altre aree del diritto – Roe e Casey avrebbero condotto alla distorsione di molte teorie dottrinali anche in altre aree giuridiche (es. la regola della “Court’s third-party standing doctrine”, i principi della res judicata, la dottrina del primo emendamento) e anche per questa ragione devono essere ribaltati.

V. Interessi correlati – Nell’opinione della Corte il ribaltamento di Roe e Casey non sconvolgerebbe principi legati ad altri interessi correlati. In Casey si afferma che vi sono molteplici interessi correlati poiché quando si parla di aborto in genere si parla di “attività non programmate” ovvero si fa riferimento al diritto di programmare la propria vita in caso di fallimento della contraccezione o del diritto delle donne a partecipare equamente alla vita economica e sociale se c’è la possibilità di controllare la riproduttività. Secondo i Giudici, però, si tratta di “concetti vaghi”, poiché quando si fa riferimento ad interessi correlati si intendono interessi più concreti come gli effetti sul diritto di proprietà o dei contratti. I plurimi tentativi di Casey di misurare gli interessi della madre e del feto rappresenterebbero invece un allontanamento dall’originario proposito costituzionale in base al quale le Corti non antepongono le loro credenze economiche e sociali nel giudizio sulle norme. Al contrario, l’odierna decisione restituirebbe la questione dell’aborto al potere legislativo consentendo a tutte le donne di agire influenzando l’opinione pubblica ed i legislatori, votando o candidandosi. Le donne, rilevano i Giudici, non sono prive del potere politico o elettorale.

La Corte ha infine respinto l’obiezione sollevata dalla Procura Generale circa il fatto che il ribaltamento di Casey e Roe potrebbe minacciare altri diritti ricompresi e protetti dalla due process clause del XIV em., ribadendo che la decisione riguarda esclusivamente l’aborto e “niente può far pensare che ci si riferisca a precedenti che non riguardano l’aborto” (nonostante il diverso avviso emergente dall’opinion del Justice Thomas – vedi supra).

In conclusione, la Corte ritiene che ciò che governa la sua attività sia il principio dello stare decisis, in base al quale però i precedenti non sono comandi inesorabili. Il suo compito è quello di interpretare la legge, applicare i principi dello stare decisis (tranne che nel presente caso, a quanto pare) e decidere conseguentemente. Del resto, Roe non avrebbe affatto posto un argine alla questione dell’aborto ma, al contrario, ha infiammato ed inasprito il dibattito sul tema, così come Casey.

Pertanto, sulla base dei precedenti, una revisione attraverso criteri razionali è lo standard appropriato da applicare per verificare se le leggi sull’aborto costituiscano una sfida costituzionale. Su queste premesse, la Corte ritiene che l’aborto non sia un diritto costituzionale, gli Stati possono regolamentarlo per ragioni legittime ed i giudici non possono utilizzare le proprie idee economiche e sociali per valutare una legge. Questo vale anche quando le leggi in questione riguardano temi sociali di grande significato sociale e rilievo morale. La legge che regola l’aborto, come quelle che riguardano la salute o il welfare, godono di una “forte presunzione di validità” perché si presume che il loro intento sia quello di servire legittimi interessi dello stato e vanno valutate di conseguenza.

Nonostante gli specifici dati elencati dai Giudici contrari in ordine alle lacune del sistema legislativo e sanitario del Mississippi (dove il 62% delle gravidanze è non pianificato, è vietato agli educatori parlare dell’uso corretto dei contraccettivi e non è prevista alcuna copertura economica in caso di congedo parentale [11]), la Corte ha ritenuto che il Mississippi Gestational Age Act sia supportato da specifiche leggi statali che tutelano l’interesse alla protezione della vita degli “unborn” e che costituiscono la sua base legittima.

Le conclusioni della Corte, dunque, coincidono con la premessa da cui muove l’opinion del Justice Alito: “L’aborto pone una profonda questione morale. La costituzione non proibisce ai cittadini di ogni stato di proibire o regolamentare l’aborto. Roe e Casey si sono arrogati questa autorità. Secondo la Corte invece è tempo di dare ascolto e considerazione alla Costituzione e restituire la questione dell’aborto ai cittadini ed ai suoi rappresentanti eletti.

La decisione ha già suscitato numerose critiche [12], soprattutto in ambito giuridico [13], ed i principali commentatori e studiosi delle scuole di legge (americani e non) hanno evidenziato la pericolosità dei principi affermati dalla Corte Suprema: essi infatti, minando alla base il criterio dello stare decisis – a quanto si legge, non più così vincolante – minacciano in concreto tutti gli ulteriori diritti costituzionali che nel tempo hanno trovato riconoscimento e tutela. Una interpretazione delle leggi che non tenga conto del diritto vivente e dei mutamenti della società, ma che pretenda di rimanere vincolata alle intenzioni del legislatore che le ha introdotte (secondo la teoria dello “original intent” di cui è stato fautore il Giudice Antonin Scalia [14]) rappresenta un pericoloso criterio di revisione e, conseguentemente, annullamento di importantissimi precedenti che, al pari di quanto avevano fatto Roe e Casey, hanno rappresentato una svolta epocale nel riconoscimento di libertà e diritti fondamentali per le persone. Del resto, nonostante le plurime rassicurazioni della Corte sul fatto che tale pronuncia riguardi esclusivamente l’aborto e nessun altro diritto è immediatamente contraddetta dal Justice Thomas, il quale esprime a chiare lettere la necessità impellente che tale processo di revisione venga fatto al più presto.

Ebbene, pur di sostenere la propria impostazione, la Corte supera con facilità il principio dello stare decisis utilizzando una impostazione rigida e volutamente impermeabile all’evoluzione dei tempi e della società, ancorata prevalentemente alle intenzioni del legislatore costituzionale del 1868. La varietà, fondatezza e rilevanza delle obiezioni a siffatto ragionamento emerge con chiarezza dalla dissenting opinion dei Giudici Breyer, Sotomayor e Kagan, ed alle loro più che significative parole di chiusura: “With sorrow — for this Court, but more, for the many millions of American women who have today lost a fundamental constitutional protection — we dissent”.

 

Avv. Valentina Guerrisi

 

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Immagine: “Larmes d’or” di Anne Marie Zilberman

 

Riferimenti

 

[1] “[e]xcept in a medical emergency or in the case of a severe fetal abnormality, a person shall not intentionally or knowingly perform . . . or induce an abortion of an unborn human being if the probable gestational age of the unborn human being has been determined to be greater than fifteen (15) weeks.”

[2] https://www.law.cornell.edu/supremecourt/text/410/113

[3] https://supreme.justia.com/cases/federal/us/505/833/

[4] https://www.law.cornell.edu/constitution/amendmentxiv

[5] Il concetto di “privacy” nell’ordinamento americano è differente e molto più ampio rispetto a quello comunemente inteso nel nostro ordinamento. Meglio definito come “right to be let alone”, ricomprende molteplici aspetti legati alla vita privata di una persona e la sua accezione, fin dalla prima elaborazione teorica del 1890 ad opera dei giuristi Warren e Brandeis, si è arricchita ed è mutata al passo con le evoluzioni sociali, economiche e tecnologiche.

[6]Abortion presents a profound moral issue on which Americans hold sharply conflicting views” – Opinion of the Court, introduction.

[7] Breyer, Sotomayor e Kagan.

[8] Cfr. Breyer, Sotomayor e Kanag JJ, dissenting opinion.

[9] Thomas J, concurrent opinion.

[10] Cfr. Breyer, Sotomayor and Kagan, dissenting opinion.

[11] Cfr. Dissenting opinion, par. 1.

[12] https://cornellsun.com/2022/07/08/professors-react-to-repeal-of-federal-abortion-rights-in-dobbs-decision/

[13] https://verdict.justia.com/2022/07/06/dobbs-double-cross-how-justice-alito-misused-pro-choice-scholars-work

[14] https://scholarship.law.columbia.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=2750&context=faculty_scholarship, https://harvardlawreview.org/wp-content/uploads/pdfs/original_meaning.pdf

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