Criminalità transfrontaliera e problemi di giurisdizione nell’Unione europea

Criminalità transfrontaliera e problemi di giurisdizione nell’Unione europea

L’espansione della criminalità transfrontaliera nell’Unione europea ha determinato l’intervento unitario sul trasferimento dei procedimenti penali tra Stati membri. La Commissione europea, in data 5 aprile 2023, ha presentato la proposta di regolamento n. COM/2023/185 sul riparto della giustizia all’interno del’UE.

La proposta nasce dall’esigenza di garantire un quadro giuridico uniforme in uno scenario nel quale, proprio a causa della pluralità di giurisdizioni spesso coesistenti tra i vari Stati membri, si pongono diversi problemi di coordinamento ed efficacia dell’esercizio dell’azione penale nonché possibili violazioni di diritti e interessi dei singoli derivanti proprio dalla duplicazione delle attività processuali[1].

La criminalità transnazionale

Statisticamente si distinguono tre categorie di reati nelle quali emerge chiaramente la caratteristica della “transnazionalità”.

La prima è certamente quella dei reati commessi da gruppi della criminalità organizzata. I gruppi criminali si insidiano in tutti i paesi dell’UE e spesso operano a livello transfrontaliero. Il 70% di questi ultimi è attivo in almeno tre Stati membri contemporaneamente[2] e le principali attività criminali che svolgono sono riconducibili al traffico di sostanze stupefacenti, al traffico di migranti, al riciclaggio di denaro e ai reati informatici.

La seconda, invece, è quella dei reati comuni con aspetti transfrontalieri: tipico esempio di questa categoria sono i casi di frode online o di diffusione di materiale pedopornografico, nei quali l’autore agisce provocando gli effetti pregiudizievoli della condotta nel territorio di un altro Stato.

L’ultima, infine, riguarda i piccoli reati commessi tra Paesi limitrofi: molti cittadini europei si spostano spesso per motivi di lavoro o familiari e questo fa sì che sussistano dei casi in cui vengano commessi reati perseguibili in entrambi i lati del confine: si pensi all’ipotesi di chi, cittadino dello Stato A, danneggi un bene nel vicino Stato B e poi faccia rientro nel proprio Paese.

Il quadro normativo vigente

Sebbene il trasferimento dei procedimenti si riveli spesso necessario, gli strumenti esistenti a livello europeo sono frammentari, insufficienti e non operano un corretto bilanciamento tra esigenze di cooperazione giudiziaria transfrontaliera e diritti dei singoli.

Attualmente gli Stati membri trasferiscono i procedimenti penali tra loro impiegando diversi strumenti giuridici, senza una normativa uniforme per tutta l’Unione europea.

Emerge certamente in primo piano la Convenzione europea sul trasferimento delle procedure penali del 15 maggio 1972. Questo atto normativo, che al suo interno offre una procedura completa e graduale per richiedere il trasferimento dei procedimenti nonché un elenco dei criteri che possano supportarli, era  in astratto uno strumento idoneo ed efficace, tuttavia solo 13 Stati lo hanno ratificato e applicato[3].

Proprio per tale motivo, la maggior parte degli ordinamenti nazionali ha optato per l’utilizzo di un ulteriore strumento normativo: l’art. 21 della Convezione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959[4].

Per quest’ultima forma di cooperazione è prevista una disciplina molto più semplificata, per la quale non sussiste alcun obbligo né una procedura specifica da seguire ma si individua, tuttalpiù, un meccanismo attraverso il quale ciascuno Stato può richiedere l’esercizio dell’azione penale nei confronti di un indagato che si trovi in un altro Paese aderente alla convenzione.

Per tali caratteristiche, quindi, anche questo strumento risulta essere inadeguato: manca una regolamentazione unitaria della procedura di trasferimento che permetta di coordinare tutti gli Stati membri.

Oltre questi strumenti intervenuti a livello internazionale, alcuni Stati dispongono di accordi bilaterali o multilaterali che fungono da base per il trasferimento di procedimenti penali. Esempio di questo strumento “interno” è l’accordo di cooperazione nordica tra Finlandia, Norvegia, Svezia, Islanda e Danimarca[5].

Occorre altresì considerare ulteriori istituti normativi che, seppur non trattino direttamente la materia del trasferimento dei procedimenti penali, sono funzionali a garantire un’adeguata cooperazione e armonizzazione tra gli ordinamenti domestici, anche in ambito giudiziario[6].

Tra questi ultimi rientra la decisione quadro 2009/948/GAI[7], che stabilisce una procedura per lo scambio di informazioni e per le consultazioni dirette tra le autorità competenti, al fine di raggiungere soluzioni preventive  per regolare il riparto e i contributi investigativi e di esercizio dell’azione penale, limitando gli effetti negativi dei procedimenti paralleli.

Su ambiti più specifici, la direttiva (UE) 2017/541[8] in materia di lotta contro il terrorismo e la decisione quadro 2008/841/GAI[9] sulla criminalità organizzata hanno individuato i criteri per accentrare i procedimenti in un unico Stato, nel caso in cui più Paesi membri siano legittimati a esercitare l’azione penale in relazione ai medesimi fatti.

In tema di coordinamento, l’Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione giudiziaria penale (Eurojust)[10] è incaricata di facilitare la collaborazione in ambito giudiziario, anche al fine di risolvere eventuali problemi di giurisdizione. Dato il ruolo che assume, quest’ultima viene considerata nell’odierna proposta di regolamento della Commissione – all’art. 16 – come autorità ausiliaria nella procedura di trasferimento per gli Stati membri[11].

Da ultimo, l’istituto del M.A.E.[12] (mandato d’arresto europeo), entro stringenti limiti, permette alle autorità giudiziarie di ottenere la consegna di un soggetto da un altro Paese dell’Unione ai fini dell’esercizio dell’azione penale o dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà.

La nuova proposta

In questo frammentato quadro normativo si inserisce dunque la proposta della Commissione europea del 5 aprile 2023.

La base giuridica di tale iniziativa trova fondamento nell’art. 82 paragrafo 1, lett. b) e d) del TFUE, in base al quale l’Unione ha la competenza per stabilire misure intese a facilitare la cooperazione tra le autorità giudiziarie o autorità omologhe degli Stati membri in relazione all’azione penale e a prevenire e risolvere i conflitti di giurisdizione.

L’organo esecutivo dell’Unione europea, procedendo in tal senso, formula una proposta articolata in cinque distinti capi.

Il primo capo – «disposizioni generali» – indica l’obiettivo della proposta e fornisce le definizioni di tutti i soggetti interessati dalla procedura. Gli artt. 3 e 4, in particolare, dettano una regola di giurisdizione per casi specifici e le ipotesi in cui è possibile rinunciare, sospendere o interrompere un procedimento penale a favore di un altro Stato membro ritenuto più adatto ad esercitare l’azione penale.

Il capo secondo – «trasferimento del procedimento penale» -, invece, prevede dettagliatamente i criteri e le procedure per richiedere o prendere una decisione in merito al trasferimento del procedimento penale. Questa parte della proposta, inoltre, include i diritti e gli interessi dell’imputato in caso di trasferimento.

Il capo terzo – «effetti del trasferimento del procedimento penale» – individua le conseguenze processuali e sostanziali derivanti dal completamento dell’operazione nonché la disciplina applicabile al procedimento penale trasferito.

Il capo quarto – «mezzi di comunicazione» – indica invece i mezzi di comunicazione elettronica tra autorità richiedente e autorità richiesta, nonché con le autorità centrali e con “Eurojust”, sempre nell’ottica di una efficace cooperazione euro-unitaria.

L’ultimo capo – «disposizioni finali» – conclude la proposta con disposizioni relative alle statistiche, alle relazioni, alle notifiche da parte degli Stati membri, al coordinamento tra regolamento, accordi e intese internazionali nonché alle disposizioni transitorie da applicare in materia di mezzi di comunicazione prima che le autorità siano obbligate ad utilizzare il sistema informatico decentrato ivi previsto.

Dal contenuto della proposta si evince, dunque, che la Commissione si è mossa su tre piani distinti al fine di dar vita ad un quadro giuridico comune: la creazione di una specifica procedura per il trasferimento dei procedimenti penali tra gli Stati membri; la previsione di garanzie e tutele nei confronti dei soggetti indagati o imputati; la predisposizione di un canale digitale per le comunicazioni transfrontaliere tra le autorità interessate.

Nella pratica, il procedimento così strutturato prevede che lo Stato c.d. “richiesto”, alla richiesta di trasferimento dallo Stato c.d. “richiedente”, ha un termine di 60 giorni per decidere se accettarla o rifiutarla. In caso affermativo, lo Stato richiesto applica al reato del procedimento trasferito la disciplina prevista dalla normativa nazionale.

In ossequio all’art. 5 del regolamento proposto, il trasferimento può avvenire in base a specifici criteri. A titolo esemplificativo: la cittadinanza del soggetto indagato/imputato, la pendenza di un procedimento penale per lo stesso fatto o altri fatti, il locus commissi delicti.

L’obiettivo della Commissione europea

La scelta dello strumento del regolamento da parte della Commissione non è certamente casuale; come noto, questo assicurerebbe un’applicazione comune delle norme in tutta l’Unione e la loro contemporanea entrata in vigore, oltre a prevenire interpretazioni divergenti tra uno Stato membro e l’altro[13].

L’individuazione di una disciplina comune in materia di trasferimento dei procedimenti serve per assicurare che sia lo Stato membro nella posizione migliore ad indagare o perseguire un dato reato, prevenendo così due possibili scenari.

In primo luogo, l’instaurazione di plurimi procedimenti paralleli per gli stessi fatti e nei confronti della stessa persona in differenti giurisdizioni, che potrebbe comportare la violazione del principio del ne bis in idem sancito dall’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea[14].

In secondo luogo, la scarsa effettività dell’esercizio dell’azione penale, quando la consegna in forza di un M.A.E. degli individui perseguiti venga ritardata o rifiutata[15].

I limiti di un’innovazione a lungo attesa

In assenza di un quadro normativo unitario e per via dei differenti sistemi giudiziari penali che caratterizzano ciascuno Stato membro, il trasferimento dei procedimenti penali è stato sempre soggetto a diversi ostacoli giuridici e pratici.

L’introduzione di una specifica normativa è effettivamente in discussione sin dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona – 1° dicembre 2009 – e la proposta odierna si inserisce tra gli obiettivi fissati nella strategia dell’UE 2021-2025 per la lotta al crimine organizzato, in relazione a cui il trasferimento dei procedimenti penali assume grande rilevanza, soprattutto nell’ottica di rafforzare il contrasto alla criminalità transfrontaliera.

Fin ora le varie procedure sperimentate, infatti, sono state ostacolate da ritardi ingiustificati e dalla mancanza di specifiche modalità di comunicazione tra le autorità interessate, con conseguenti inefficienze di allocazione delle risorse umane e finanziare.

Le differenze negli ordinamenti degli Stati membri su istituti fondamentali riguardanti il diritto processuale penale – specie in termini di  diritti e garanzie degli indagati o imputati – hanno spesso impedito forme avanzate di cooperazione, stante l’evidente incertezza giuridica e il rischio di una protezione insufficiente di diritti fondamentali dei singoli.

L’approvazione del regolamento  potrebbe garantire maggiore certezza del diritto nell’Unione e al tempo stesso rafforzare gli strumenti per il contrasto alla criminalità transeuropea. Tuttavia, il bilanciamento tra le esigenze di efficienza nella cooperazione giudiziaria non dovrà mai tradursi in una compressione dei diritti processuali fondamentali delle persone interessate. A fronte del dettaglio con cui vengono declinati aspetti di gestione dei procedimenti nei rapporti tra autorità giudiziarie di Stati membri, non si rinviene uguale puntualità prescrittiva sul fronte delle garanzie individuali, contenendo la proposta enunciazioni di principio eccessivamente generiche volte a garantire i “diritti procedurali” dell’imputato. Saranno pertanto necessarie integrazioni e modifiche alla proposta affinché, come già capitato in passato, le libertà fondamentali dell’individuo non rimangano petizione astratta, mortificate dalla pretesa punitiva degli Stati.

 

Prof. Avv. Roberto De Vita
Avv. Maria Caponnetto

 

 

Riferimenti

[1] Sul rapporto tra conflitti di giurisdizione e trasferimento dei procedimenti v. M. Carmona Ruano, Prevention and settlement of conflicts of jurisdiction, in K. Ligeti, Preventing and resolving conflicts of jurisdiction in EU Criminal Law, Oxford University Press 2018, 119-139. M. Kaiafa-Gbandi, Addressing the Problems of Jurisdictional Conflicts, in Ciminal Matters within the EUE, EUCRIMI 2020, nr. 3, 209-212.

[2] https://www.consilium.europa.eu/it/policies/eu-fight-against-crime/

[3] V. M. R. Marchetti – E. Selvaggi,  La nuova cooperazione giudiziaria penale, 2019, 149 ss.

[4] G. De Amicis, Sul trasferimento dei procedimenti penali, in Dir. pen. proc., 2010, 1246 ss.

[5] https://www.nordefco.org/Files/nordefco-mou.pdf

[6] Per un approfondimento generale v. F. Ruggieri, Processo penale e regole europee: atti, diritti, soggetti e decisioni., 2018.

[7] In particolare, il provvedimento introduce uno strumento utile a prevenire la violazione del divieto del ne bis in idem prevedendo meccanismi procedurali che evitano l’instaurazione di più procedimenti penali dinanzi alle diverse autorità nazionali europee nei confronti della medesima persona e in relazione allo stesso fatto.

[8] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A32017L0541

[9] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX:32008F0841

[10] http://data.europa.eu/eli/dec/2002/187/oj

[11] Per un approfondimento sul tema, v. G. Barrocu, La cooperazione investigativa in ambito europeo – Da Eurojust all’ordine d’indagine, 2017.

[12] http://data.europa.eu/eli/dec_framw/2002/584/oj

[13] Le ulteriori opzioni possibili, come ad esempio una raccomandazione, sono state scartate in quanto prive di una natura direttamente vincolante e, come tali, non adeguate a dare una soluzione concreta ed efficace ai problemi riscontrati sul tema.

[14] http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:12016P/TXT&from=IT. Per un’analisi dell’art. 50 della Carte dei diritti fondamentali dell’Unione europea v. M. Castellaneta, Sub art. 50, in F. Pocar, M.C. Baruffi, Commentario breve ai trattati dell’Unione europea, 2014, 1794-1795.

[15] Sul tema, v. F. Schorkopf, European Arrest Warrant, in Oxford Public International Law, June 2019; Cfr. Court of Justice of the EU, 5 aprile 2012, C-404/15 and C-659/15 (Aranyosi & Caladararu)

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