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Ranieri Guerra: «Trattato da mostro, ne esco a testa alta ma la mia reputazione è rovinata»

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di Camilla Ferro

Il veronese alla guida dell’Organizzazione mondiale della sanità durante lo scoppio della pandemia

«Mi hanno fatto fare la parte del mostro, dopo 40 anni di onorato lavoro a servizio del mio Paese e della Sanità del mondo, hanno fatto di tutto per rovinarmi la reputazione. Mi resta dentro una profonda amarezza, anche perché non ho avuto le scuse di nessuno di quelli che mi hanno coinvolto ingiustamente in questa drammatica vicenda. Sì, ne sono uscito a testa alta rimettendoci però tantissimo, a livello professionale e personale. I danni sono inquantificabili». Lo ripete, sillabandolo: «In-cal-co-la-bi-li. Perché la reputazione internazionale di cui godevo, la stima e la fiducia del mondo della scienza costruite in una vita di lavoro, sarà difficile riaverle».

La fine

«La Procura di Bergamo, dopo anni terribili, mi ha reso giustizia, facendo un lavoro eccezionale: non compaio negli avvisi di conclusione delle indagini lombarde e ricordo che anche il filone veneziano dell’inchiesta è stato archiviato. Sono fuori, non vado a giudizio, ma sono intimamente dispiaciuto, rattristato, deluso».

Così il professor Ranieri Guerra, veronese ex direttore vicario dell’Omsfino alle dimissioni del settembre del 2021, commenta il fatto che il suo nome non figura più tra quelli degli indagati dalla Procura di Bergamo per la supposta mala-gestione della prima fase della pandemia nel febbraio 2020, quella che ha causato migliaia di vittime in Val Seriana e nel resto della Regione. Sotto accusa, a vario titolo e con responsabilità diverse, per epidemia colposa aggravata, omicidio colposo plurimo, rifiuto di atti d’ufficio, falso e lesioni colpose sono rimasti 17 indagati tra cui il governatore della Lombardia Fontana, il suo ex assessore regionale Gallera, il presidente dell’Iss Brusaferro, il presidente del Consiglio superiore di Sanità Locatelli, il coordinatore dell’allora Comitato Scientifico Agostino Miozzo, l’ex capo della protezione civile Angelo Borrelli, l’ex presidente del Consiglio Conte e l’ex ministro della salute Speranza.

Il caso

Ranieri Guerra era entrato nell’inchiesta con l’accusa di aver rilasciato, in qualità di testimone quando venne sentito nel novembre del 2020 come persona informata dei fatti, false dichiarazioni ai pm relativamente alla questione fondamentale del mancato aggiornamento del piano pandemico nazionale del 2006.

A tirarlo in ballo era stato un funzionario dell’Oms, Francesco Zambon,che lo accusò di avere esercitato pressioni facendogli retrodatare al 2016 la data sul documento per farlo sembrare aggiornato quando invece non lo era. Perché lo avrebbe fatto? Perché sarebbe dovuto spettare, tra gli altri, proprio a Guerra occuparsi del Piano quando, prima di passare all’Oms, era direttore della Prevenzione al Ministero della Salute tra il 2014 e il 2017.

Zambon con il suo team di ricercatori operava da Venezia, ecco perché parte dell’inchiesta bergamasca ha coinvolto la Procura lagunare. «Ma il filone veneziano delle indagini», conferma Roberto De Vita, avvocato di Guerra, «è stato archiviato già lo scorso novembre. E ora il mio assistito è fuori anche da Bergamo: il suo nome è l’unico che non compare negli atti di chiusura indagini comunicata invece a tutti gli altri indagati».

L’analisi

Guerra non vuole «regolamentare i conti dal punto di vista umano», dice, «non sta a me fare la morale a chi mi ha messo dentro a questa macchina del fango» (la causa milionaria di risarcimento danni è comunque in corso, ndr) ma «mi auguro che chi mi ha accusato abbia almeno qualche rimorso di coscienza (il riferimento è soprattutto a Zambon e ai membri del Cts, ndr). Nessuno è venuto a scusarsi. Sono stato tirato in ballo dalla pubblica accusa prima di conoscere come sono andate effettivamente le cose, prima di avere in mano la risposta contenuta nella rogatoria di Ginevra (sede Oms), montando a priori un castello di accuse inesistenti». E riflette: «Ciò che importa è che mi sia stata restituita giustizia. Dopo questi ultimi difficili anni in cui sono stato fatto passare per il responsabile della diffusione del Covid in Italia, con tanto di minacce di morte, sono l’unico, ripeto, a non essere più nell’inchiesta».

Il professore si toglie un altro sassolino dalle scarpe: «Il messaggio intercettato e diffuso sui media in cui dico che “fare tamponi a tutti è una cazzata“ va contestualizzato: in quelle prime settimane di pandemia la priorità non era certo fare i test molecolari a tappeto la cui risposta sarebbe arrivata dopo giorni perché dovevano andare all’Iss ma era ben più urgente isolare i positivi per interrompere la catena mortale del contagio. Fatto quello dopo sì, ma solo dopo, si sarebbe dovuto procedere con lo screening anche se in Lombardia non era già più possibile perché il tracciamento era saltato e il virus correva».

L’amarezza

Il dottor Ranieri Guerra, amareggiato, torna a dirlo: «Ho sempre lavorato per l’Italia, sempre, durante la pandemia da Covid 19. Il mio compito da ex servitore dello Stato e funzionario di un’organizzazione internazionale come l’Oms è stato quello di aiutare il nostro Paese. Invece sono finito nel tritacarne, al centro di molte trasmissioni televisive che mi additavano come il mostro, con il mio nome sui titoli dei giornali come quello dei delinquenti. Tutta questa storia è stata un danno enorme. E farà sempre male».

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