Come cittadini di uno Stato democratico, siamo orgogliosi della nostra libertà di manifestazione del pensiero, ce ne vantiamo e, a volte, specie quando ci confrontiamo con altre realtà dove la libertà di espressione non esiste o è molto limitata, assumiamo un condiscendente atteggiamento di superiorità.
La libertà di informazione è una meritata conquista, per noi indispensabile, ma siamo davvero in grado di sfruttarla nel modo giusto, ora che, chiusi in casa, cerchiamo rassicurazioni? Abbiamo gli strumenti che ci consentano di gestire la libertà di informarci e di essere informati, senza precipitare in un pericoloso abuso di massa?
La pluralità dei mezzi di informazione è essenziale, consente alle minoranze di far valere la propria voce, parafrasando Umberto Eco, di reagire quando la maggioranza sostiene di aver ragione, per non mettere in pericolo la democrazia.
L’immediatezza ha abituato i cittadini a cercare (e sempre più spesso a trovare) risposte facili e rapide dai nuovi strumenti, veicoli dell’apparentemente democratica informazione “orizzontale”. I media tradizionali, per non essere messi in disparte, si sono adattati alimentando a loro volta un meccanismo di frenetico nutrimento informativo dell’utente finale.
Raccolta, elaborazione, somministrazione. Un ciclo di cui tutti facciamo parte.
La nostra bulimia di notizie, ancor più accentuata quando scatenata da un movente emotivo – la paura – crea una domanda di nuove voci, nuovi fatti, anche falsi, cosa importa, pur di avere qualcosa.
Questa babéle di voci ed opinioni, di varia e diversa vicinanza ed autorevolezza, genera una confusione incontrollata, alimenta un bisogno istintivo, ma non lo guida con una visione d’insieme.
L’incertezza ed il perenne mutamento dei nostri tempi, come ricorda il Gen. Pasquale Preziosa, richiede invece un perfetto equilibrio tra il decisore, la rete di contatto e la comunicazione interna ed esterna: la gestione di grandi eventi inattesi non può prescindere da nessuno di questi aspetti.
E se con la viralità delle informazioni abbiamo provato a convivere, oggi ci troviamo ad affrontare la viralità di una pandemia: le istituzioni sono chiamate a prendere decisioni straordinariamente rapide, in contrasto con la lentezza ponderata che ne dovrebbe accompagnare l’ordinario operato.
Ma non c’è velocità che tenga, quando il contagio della paura corre per via digitale. Proprio come spiegato dal Prof. Roberto De Vita, secondo cui l’incapacità delle istituzioni tecniche “di sapersi adeguare ad un mondo rivoluzionato dall’accesso immediato all’informazione granulare e orizzontale” e la scomparsa e la perdita di ruolo degli intermediari culturali storici (media tradizionali) hanno inevitabilmente favorito la trasmissione digitale di disorientamento diffuso ed imbelle credulità. Basti pensare alla diffusione di bozze e indiscrezioni, sintesi dei rapporti causa-effetto tra informatori ed informati.
Quando le circostanze cambiano drammaticamente, se vogliamo sopravvivere siamo chiamati ad adattarci.
È necessario accantonare l’istintivo bisogno di conoscere quanti più fatti e notizie possibile, concentrandosi invece sull’effettiva necessità di metabolizzarne il senso complessivo: solo la ricerca di condensatori di significato potrà fornirci gli anticorpi contro la paura.
Antonio Laudisa
Marco Della Bruna
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