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di Vincenzo Bisbiglia
Da Panama a Andorra il chavista è accusato di aver regalato ai sauditi 1,5 miliardi di dollari, in parte finiti al suo inner circle. Lui si difende: “lo perseguitato, così rischio la vita”
Il presidente venezuelano Nicolàs Maduro vuole a tutti i costi l’estradizione di uno dei suoi principali oppositori politici, Rafael Ramirez Carreño, ex ministro del petrolio che da anni denuncia sia in patria sia all’estero le violazioni dei diritti umani da parte del regime di Caracas e che dal 2021 ha ottenuto lo status di rifugiato politico in Italia. Ma la procura di Roma, che da tre anni indaga sul suo conto – su input del Venezuela – per riciclaggio e per un peculato monstre da centinaia di milioni di dollari, nelle scorse settimane ha chiesto l’archiviazione della sua posizione, non ritenendo vi siano prove delle accuse avanzate in patria. Così ora l’autocrate bolivariano ha incaricato un pool di legali (anche italiani) e, indirettamente, un ex agente segreto del Sismi ed ex dirigente dell’Eni, di costruire un dossier sul suo conto che spinga il gip capitolino, il prossimo 17 giugno – quando si discuterà l’opposizione alla richiesta di archiviazione – a cambiare idea e a mandare a processo Ramirez.
È un intrigo di proporzioni planetarie quello creatosi sull’asse Roma-Caracas, che si muove anche attraverso paesi come Panama, Andorra, Spagna, Portogallo e Arabia Saudita e che si gioca sul coinvolgimento di 007, conti offshore, presunte truffe internazionali e depistaggi. Ramirez nel 2017 aveva espresso l’intenzione di candidarsi alle elezioni presidenziali contro Maduro. Da quel momento, come afferma anche nelle memorie difensive presentate dal suo legale, l’avvocato Roberto De Vita, è iniziata una lunga persecuzione giudiziaria, che ha messo in pericolo anche la moglie e i figli e che ha colpito il fratello Fidel, arrestato e tuttora in carcere a Caracas.
Partiamo dalle accuse del Venezuela. I fatti riguardano il periodo tra il 2010 e il 2012, quando Ramirez era ministro del Petrolio e presidente di Pdvsa, il colosso petrolifero statale del Venezuela. Stando alla memoria di 177 pagine presentata dal legale italiano del governo venezuelano, l’avvocato Roberto Fiore, nel 2010, su iniziativa di Ramirez, Pdvsa avrebbe affidato al gruppo saudita Petrosaudi un contratto di perforazione di 7 anni nell’area operativa offshore “Costa Afuera”, alla cifra di circa 1,3 miliardi di dollari. Sostengono i legali del Venezuela che alla fine del settennato Pdvsa sia arrivata a sborsare oltre 1,5 miliardi di dollari, di cui circa 788 milioni “ingiustificati”. L’affidamento a Petrosaudi sarebbe avvenuto senza gara e con trattativa diretta, a un prezzo – è la tesi – superiore del 62% rispetto a quello di mercato, ignorando le proposte pervenute da altre 14 società interessate. Di contro, la nave-piattaforma del gruppo saudita, la Songa Saturn – rilevata dal committente precedente, Neptune Marine – secondo le perizie di parte sarebbe stata inattiva per il 77% del tempo a causa di gravi problemi strutturali, rilevati dalla olandese ModuSpec ma ignorati dagli stessi vertici di Pdvsa.
Non è tutto. Il governo di Maduro sostiene che la Banca Privada di Andorra ha registrato fino al 2017 – anno in cui è iniziata la persecuzione giudiziaria verso Ramirez – l’arrivo presso conti privati di ben 4,2 miliardi di euro dalle casse dello Stato venezuelano. Le segnalazioni hanno portato l’apertura di inchieste giudiziarie in Spagna, Portogallo e Stati Uniti. E anche in Italia, dove il Nucleo Valutario della Guardia di Finanza ha indagato su una serie di operazioni immobiliari tra Roma e Milano che, a giudizio del Venezuela, hanno interessato l’inner circle di Ramirez. Proprio Ramirez, fa notare il dossier, ha vissuto a Roma in una casa ai Parioli di proprietà del suo viceministro dell’epoca, Nervis Villalobos, pagata da quest’ultimo 2,5 milioni di euro, minima parte dei 47 milioni di dollari incassati – è la tesi dei venezuelani – da Villalobos da una società offshore di Panama, la Canaima Finance Ltd “riferibile a Ramirez”, tramite banche di Madrid, Lisbona e Dubai. Altro personaggio chiave è Diego Salazar Carreño, che secondo le accuse sarebbe il cugino di Ramirez (ma i legali dell’ex ministro smentiscono la parentela): Salazar avrebbe investito i fondi “distratti” (circa 2 miliardi) in società agroalimentari in provincia di Roma. Infine Baldò Sanso, cognato di Ramirez (è il fratello della moglie): per i media venezuelani fu interlocutore dell’Eni ai tempi dell’ex ad Paolo Scaroni – ma l’Eni al Fatto smentisce – e risulta proprietario di 5 immobili, tra cui uno a Roma, in zona Prati, dove Ramirez ha vissuto.
I pm di Roma, come detto, hanno chiesto l’archiviazione per i due fascicoli che interessano Ramirez: per il peculato, aperto nel 2022 su input del Venezuela, e per riciclaggio, del 2021, su una segnalazione di operazione sospetta di Bankitalia. Nel primo caso, scrivono le pm Rosalia Affinito e Giulia Guccione, “non vi è prova che le ingenti somme drenate dalla società pubblica siano pervenute nella disponibilità del Carreño né risulta un comportamento da questi tenuto uti dominus”. Per il riciclaggio, invece, secondo il pm Francesco Cascini “gli esiti pervenuti da Stati Uniti e Spagna non hanno permesso di raccogliere elementi utili per ritenere riconducibile a delitti di corruzione commessi all’estero, la provvista utilizzata per le operazioni immobiliari in Italia”.
L’opposizione dei legali di Maduro si basa su un dossier difensivo di oltre 100 pagine realizzato da Ernst&Young e firmato da due consulenti, tra cui Umberto Saccone, fino al 2006 agente segreto del Sismi e poi fino al 2015 direttore della Security dell’Eni. In sede di indagini difensive, è stato interrogato anche l’ex direttore di Petrosaudi, Xavier Justo, il whistleblower che ha scoperchiato una delle più grandi truffe internazionali degli ultimi anni, perpetrata nei confronti dello stato della Malesia, per cui è stato arrestato l’ex primo ministro dello stato asiatico, Najib Razak. Eni al Fatto smentisce che l’affare Ramirez possa avere ripercussioni sulla politica energetica in Venezuela. Il colosso italiano per ora è uno dei pochi paesi occidentali che può ancora estrarre petrolio nel paese sudamericano derogando all’embargo Usa, in virtù di un credito sceso a 400 milioni di dollari (era pari a 1 miliardo). Vedremo cosa accadrà quando il credito sarà esaurito.