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Assolto per maltrattamenti, la parte civile fa ricorso: «Assolto perché lei adultera»

Leggi l’articolo originale su Corriere della Sera – Brescia

A processo era finito un quarantenne bengalese: la vicenda suscitò polemiche per la presunta «scriminante culturale» alla base della prima richiesta di assoluzione. In realtà «il fatto non sussiste»: per il pm e per i giudici

Il quarantenne bengalese accusato di maltrattamenti e violenza sessuale nei confronti dell’ex moglie connazionale di 28 anni è stato assolto il 17 ottobre scorso dai giudici di Brescia anche sulla base «di una nuova scriminante, quella dell’adulterio, anche peggio rispetto a quella giuridicamente abominevole opzione paventata dall’accusa di una presunta quanto inesistente scriminante culturale». Lo scrive l’avvocato Valentina Guerrisi, che assiste la donna, nel ricorso in appello contro la sentenza con la quale il Tribunale di Brescia ha assolto nell’ottobre scorso l’imputato dopo le polemiche causate da una prima richiesta di assoluzione da parte del pm Antonio Bassolino che chiamava in causa «l’impianto culturale di origine» della coppia.

Il ricorso – scrive l’Agi – contiene alcuni passaggi critici molto duri sulle motivazioni esposte dai giudici per motivare l’assoluzione da parte del Tribunale accusato di «aver ritenuto di poter assolvere `perché il fatto non sussiste´ in ragione di un giudizio etico e morale (prima ancora che giuridico) sul comportamento presuntamente tenuto dalla vittima senza alcuna valutazione delle condotte dell’imputato». E per la difesa «è evidente come tutta la ricostruzione offerta in sentenza, quasi con spirito di partigianeria solidale con un maldestro pm gravemente scivolato nel relativismo giuridico e culturale, abbia ricalcato lo schema percorso dal magistrato inquirente nella richiesta di archiviazione».

In particolare la difesa sostiene che il Tribunale abbia ignorato «le fotografie delle violenze, comprese quelle inerenti l’obbligo di indossare i vestiti tradizionali per concentrarsi sui messaggi tra la donna e il capitano della Guardia di Finanza (col quale lei aveva una relazione, ndr) del tutto irrilevanti per i fatti in contestazione e carpiti illecitamente dall’imputato al solo fine di contrastare il tentativo della moglie di liberarsi dal suo giogo». «Nello stigmatizzare le dichiarazioni del capitano – scrive Guerrisi – si afferma che `è inafferrabile per il collegio il significato di emancipazione che racchiude l’invio di foto in biancheria intima´. Ebbene – considera la legale – è sufficiente tale frase per spiegare il percorso inquinante seguito dalla valutazione dei gravissimi fatti atti di violenza oggetto del procedimento. Spiace molto rilevare come anni di battaglia del pensiero femminista, di studi e teorie sull’emancipazione non abbiano insegnato quasi nulla, visto che la libertà e l’autodeterminazione di una donna consistono soprattutto nella libertà di disporre liberamente del proprio corpo. L’emancipazione di una donna costretto a subire fin da piccola violenze sessuali, ricatti morali, matrimoni forzati, passa soprattutto per l’autodeterminazione e l’acquisizione di consapevolezza del proprio corpo».

La conclusione per la difesa è che «se tutto questo viene valutato con le lenti del paternalismo moraleggiante di un tempo ciò che se ne ricaverà è solo una nuova scriminante a ogni tipo di violenza o sopruso, ovvero quella dell’adulterio realizzando quel processo di vittimizzazione secondaria contro il quale la Corte Europea ha già espresso il suo giudizio condannando l’Italia». Infine, dal ricorso emergono critiche anche alla scelta del Tribunale di non aver trasmesso gli atti alla Procura per le presunte false accuse nei confronti dell’imputato «pur avendo attribuito alla persona offesa e al capitano l’accusa di calunnia e falsa testimonianza e la sussistenza del movente consistente nella peccaminosa relazione sentimentale e nell’obbiettivo di liberarsi dell’ingombrante marito».

Le motivazioni della sentenza

Nell’«ordinamento giuridico di uno Stato costituzionale di diritto non trova cittadinanza alcuna forma di scriminante di carattere culturale» che possa giustificare la violenza su una persona. Il concetto viene espresso con molta chiarezza nelle motivazioni alla sentenza con la quale il Tribunale di Brescia ha assolto nell’ottobre scorso un uomo di 40 anni originario del Banglasdesh dall’accusa di maltrattamenti e violenza sessuale nei confronti dell’ex moglie di 28 anni sua connazionale. La vicenda aveva suscitato molte polemiche perché in un primo momento il pubblico ministero Antonio Bassolino aveva chiesto l’assoluzione con la formula `il fatto non costituisce reato´ facendo riferimento in una memoria a comportamenti da parte dell’imputato «frutto dell’impianto culturale di origine». Parole definite «inaccettabili» anche dal ministro della Giustizia Carlo Nordio. Poi il magistrato aveva cambiato idea chiedendo l’assoluzione `perché il fatto non sussiste´ ed eliminando quel riferimento alla cultura d’origine durante la requisitoria in aula. E proprio con quest’ultima formula i giudici hanno assolto l’imputato ritenendo che «le dichiarazioni della donna non sono risultate così solide da fondare la responsabilità penale dell’imputato».

Nella requisitoria in aula lo scorso 17 ottobre aveva chiesto l’innocenza dell’uomo con la formula `perché il fatto non sussiste´ tornando sui proprio passi. E su questo il collegio presieduto dalla giudice Maria Chiara Minazzato gli dà pienamente ragione sostenendo che le accuse della donna siano «generiche e contraddittorie quando incalzate dall’imprescindibile precisione della narrazione accusatoria». L’imputato rispondeva di maltrattamenti e violenza sessuale tra il 2015 e il 2019. «Tale narrazione – scrivono i giudici parlando solo dei maltrattamenti – autonomamente già inidonea a parere del collegio a sostenere l’accusa di maltrattamenti poiché, indiscussa l’offensività delle condotte illecite, ne manca la necessaria abitualità per integrare questo reato, è inoltre viziata da profili di contraddittorietà e mendacità  nelle versioni rese dalla donna e dal suo attuale compagno, peraltro smentite anche dalle persone informate sui fatti».

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